Daniela Goldin Folena

Per Antonio Melis

Non sempre le esperienze vissute intensamente nell'adolescenza o nella prima giovinezza si fissano nella memoria con altrettanta intensità. Se ne perdono invece i contorni, e si fatica a far emergere dalla memoria persino il significato di quegli eventi e la loro incidenza nella nostra biografia. Debbo però riconoscere che, ancora adesso, se ripenso agli anni tra il '60 e il '70 del secolo scorso così come si svolgevano a Padova o meglio nell'ambito universitario padovano, e più propriamente ancora nel panorama studentesco di quegli anni, avverto la percezione di qualche cosa di esaltante.

Non saprei dire se quella fosse una situazione generazionale, se cioè tutti gli studenti di quell'epoca e di tutte le università vivessero allo stesso modo gli eventi e le situazioni comprese in quegli anni. Per Padova, o almeno per me, quell'entusiasmo e quell'esaltazione venivano dal fatto di vivere — come cosa assolutamente naturale, implicita o connaturata agli anni universitari — dentro l'attività di tre centri studenteschi che allora, per me, esaurivano quasi tutte le necessità e soddisfacevano tutte le curiosità degli studenti più o meno ventenni, e in modo privilegiato. Vivevo insomma come una conquista il poter finalmente accedere a pieno diritto alle attività culturali contigue o complementari all'impegno primario degli studi: il cineforum 'proibito' ai liceali e in genere agli studenti delle superiori, credo più per un fatto di principio che per una programmazione marcatamente da adulti (a quegli anni, le barriere generazionali erano ben definite e rigorose); i concerti quasi esclusivamente di musica classica organizzati dal Centro d'arte degli studenti dell'Università in cui erano confluiti gli Amici della musica; il più indefinito (ma 'covo' di grandi amicizie) CRUE, vale a dire il centro per le relazioni con l'estero.

Va da sé che il legame tra quei centri era basato sui legami d'amicizia e spesso di sintonia tra le persone che quei centri gestivano, così che ora, a distanza di tanti anni, farei persino fatica a distribuire correttamente i ruoli e le persone di quei centri, come se fossero un'unica realtà insieme umana e culturale. La cosa è tanto più plausibile se si pensa ai luoghi. Quei tre Centri occupavano 3 stanze (forse il CRUE o il CUC anche due, comunque piccole) tutte affacciate su unico piccolo corridoio: un piccolo appartamento insomma di un condominio di via Giovanni Prati, al limite del Ghetto di Padova, i cui inquilini andavano straordinariamente d'accordo non per necessità o convenienza, ma perché condividevano allegramente esperienze culturali uniche. A dir vero, serpeggiava forse l'idea che il Centro d'arte-Amici della musica fosse per certi aspetti un po' fuori dal mondo, vivesse in una sfera più snob, per così dire, perché allora, in epoca di serpeggiante prima che dichiarata rivolta studentesca, la musica classica era sentita come cosa borghese, non proprio in sintonia con le pulsioni giovanili, perché in effetti fino ad un certo punto i programmi del Centro d'arte prevedevano sostanzialmente l'esecuzione di musiche tra Barocco e Novecento; e fu vissuta come grave (dal punto di vista di alcuni 'baroni') trasgressione l'avere ingaggiato proprio per la stagione dei concerti del Centro d'arte-Amici della musica il Canzoniere popolare di Giovanna Marini e Mario D'Andrea; d'altra parte l'arrivo delle Marionette di Salisburgo col loro Flauto magico ridotto per quel singolare cast creò l'unico momento di scontro, direi addirittura di intolleranza, tra quel Centro e il CUC, poco disposto a cedere il suo spazio 'istituzionale' (il piccolo teatro Ruzzante), fino ad allora sede deputata esclusivamente alla proiezione dei film o a incontri culturali. Non si dimentichi per altro che il CUC aveva un 'concorrente' nel Cineforum, cattolico, dell'Antonianum, snobbato ad esser sinceri dagli studenti più 'maturi' e 'preparati', si pensava, dell'Università, e che si distingueva dall'altro non tanto per proiezioni di film per così dire più ortodossi, ma per l'obbligo dei dibattiti proprio sui film lì proiettati, sentito da noi studenti 'laici' come consuetudine prettamente parrocchiale.

C'è da aggiungere che non c'erano conflitti tra l'impegno anche organizzativo che necessariamente comportava l'esser dentro a quei Centri, con la vivace attività politica alla quale la gran parte di noi allora partecipava. Allora destra e sinistra erano realmente incompatibili, separate com'erano da ben marcate differenze ideologiche e persino morali, direi. Non avvertivo soluzione di continuità insomma tra via Prati e il Ruzzante dove si svolgevano prevalentemente gli incontri e i dibattiti dell'UGI, e lì mi capitava di rivedere i solidalissimi Antonio Melis, Mario Mancini, Nino Zampieri e altri che circolavano poi in quelle modeste stanze di via Prati. Ad essere sinceri tra tutti sentivo Antonio Melis per certi aspetti irraggiungibile, perché più riservato e insieme di un'intelligenza più problematica di quella degli altri. E forse allora non ci rendevamo conto che ad unirci era anche la frequentazione comune di una Facoltà e forse dei corsi che si sposavano bene con le nostre attività 'extra' ma sempre di ambito intellettuale. Tout se tenait, insomma, perché esperienze apparentemente lontane e vissute in luoghi in parte lontani erano soprattutto occasioni di incontri all'insegna della curiosità, del desiderio di comunicazione e confronto e, nonostante tutto, della fiducia in un futuro che non poteva che essere sempre migliore.

D.G.F (o semplicemente Dani)